23/08/09

TEGIMEN

Interessante reperto di una fodera (tegimen) in pelle di uno scudo legionario, pertinente alla Legio XI Claudia Pia Fidelis, coorte I o III, e databile al 70-100 d.C., periodo di stazionamento della legione a Windisch (Svizzera).



www.roma-victrix

Particolare della tabula ansata al centro della fodera, dove si nota parte della scritta





Immagini: www.roma-victrix
(Cortesia Vindonissa Museum - Brugg-CH)
Altre due scritte di pelle per fodera di scudo, sempre appartenute alla Legio XI Claudia Pia Fidelis







Immagini: www.roma-victrix

(Cortesia Vindonissa Museum - Brugg-CH)
Altra fodera per scudo in cui è presente, ben conformato, l’alloggio per l’umbone, chiaramente visibile nella seconda foto
.



Immagini : www.roma-victrix


(Cortesia Vindonissa Museum - Brugg-CH)

-------------------------------------------------------------------

08/08/09

MATERIALE EDILIZIO


Vindonissa-Museum, Brugg (Photo Aargauische
Kantonsarchäologie)
www.roma-victrix


(Cortesia Vindonissa Museum - Brugg-CH) Bolli su mamattoni
della Legio XI Claudia Pia Fidelis. Notare il doppio bollo su una
stessa mattonella.www.roma-victrix

www.roma-victrix
(Cortesia Vindonissa Museum - Brugg-CH)


-----------------------------------------------------------------------

MAPPE E PLASTICO

In trenta anni circa di permanenza nel campo di Vindonissa-Windisch, ha creato le condizioni ideali per l' accumularsi di materiale e reperti appartenuto alla XI LEGIO e ai legionari che vi stazionarono.




NELLA MAPPA E' RIPORTATA DOVE ERA VINDONISSA




PLASTICO DEL CASTRUM DI VINDONISSA


BRUGG LOCALITA' VICINO WINDISCH SEDE DEL MUSEO,
DOVE SONO CONSERVATI REPERTI APPARTENUTI ALLA LEGIO XI
--------------------------------------------------------------------

VINDONISSA ATTUALE WINDISCH -SVIZZERA-

Vespasiano, divenne imperatore dopo aver sconfitto Vitellio nella seconda battaglia di Bedriaco. Immediatamente dopo l'ascesa al trono Vespasiano dovette fronteggiare la rivolta batava, e l'XI fece parte della vittoriosa spedizione di Quinto Petillo Cereale. La distruzione di quattro legioni, però, obbligò l'imperatore a ridisporre le proprie truppe, e l'XI si spostò a Vindonissa in Germania superiore, al posto della XXI Rapax, mentre in Dalmazia fu sostituita dalla IIII Flavia Felix.
Vindonissa era un campo legionario romano, nei pressi della moderna Windisch, in Svizzera. L'importanza del campo derivava dalla sua posizione, alla confluenza del Reuss e dell'Aar, a soli 15 km dal Reno.
Storia
Prima dell'insediamento romano vi era un oppidum celtico. Vindonissa venne fondata probabilmente tra il 9 ed il 13, in seguito alla disfatta di Teutoburgo e la conseguente riorganizzazione della frontiera operata da Tiberio e Germanico; una prima espansione verso occidente avvenne nel 21, mentre all'espansione del 30 risale la costruzione delle terme e del valetudinarium.
La Legio XIII Gemina occupò il campo fino al 44 o 45, quando venne sostituita dalla XXI Rapax, che venne installata in un nuovo campo, costruito in pietra. La XXI venne disciolta in occasione della Rivolta batava del 69-70 e sostituita dalla XI Claudia, che rimase fino al 101, quando le truppe vennero inviate sul Danubio in preparazione della campagna contro i Daci. In seguito Vindonissa rimase un insediamento civile, che vide la costruzione di una fortificazione nel IV secolo.
Oltre al forte legionario sono ancora presenti l'anfiteatro e l'acquedotto del I secolo, ancora in uso, quattro cimiteri, una mansio e una collina di detriti.


-----------------------------------------------------------------

06/08/09

QUINTO PETILLIO CEREALE

Quinto Petillio Cereale venne inviato in Germania inferiore a fronteggiare la rivolta batava, guidata dal principe romanizzato Gaio Giulio Civile. Questa rivolta, che era scoppiata quando Vespasiano non aveva ancora preso saldamente il potere, aveva visto quattro legioni romane arrendersi al nemico. Ceriale, a capo di un forte esercito costituito dalle legioni VIII Augusta, XI Claudia, XIII Gemina, XXI Rapax e la neo-reclutata II Adiutrix, attraversò le Alpi, approfittando della mancata guardia dei valichi del Grande e Piccolo San Bernardo e del Monginevro da parte del rivoltoso Giulio Tutore, entrando nella provincia. Ulteriori riforzi vennero dalla Britannia, con il distaccamento della XIIII Gemina, e dalla Hispania, con l'arrivo della I Adiutrix e della VI Victrix.[3]
Viene riportato dalle fonti che Domiziano, il figlio di Vespasiano, chiese a Ceriale di consegnargli il comando delle legioni che stavano sconfiggendo Civile. Lo scopo di Domiziano era quello di acquisire prestigio con una vittoria in realtà già ottenuta da Ceriale, ma anche quello di prendere il potere. Ceriale rifiutò, scartando questa ipotesi come la fantasia di un ragazzo.[4] E nel corso del 70 diventava console per la prima volta.

-------------------------------------------------------------------

05/08/09

RIVOLTA BATAVA

Da Wikipedia

La rivolta batava ebbe luogo nella provincia romana della Germania inferiore tra il 69 e il 70. I ribelli batavi, guidati da Gaio Giulio Civile, riuscirono a distruggere quattro legioni, infliggendo sconfitte umilianti all'esercito romano, ma dovettero poi arrendersi al generale Quinto Petillio Cereale. Dopo la stipula della pace la situazione tornò normale, ma i Romani mantennero una legione stabilmente in zona. La rivolta batava si materializzò nell'Anno dei quattro imperatori, durante il quale vi fu un susseguirsi di imperatori sul trono dell'Impero romano.

Legioni romane coinvolte
Legioni distrutte a Castra Vetera dai rivoltosi e non ricostituite:
V Alaudae
XV Primigenia
Legioni di guardia a Mogontiacum e poi ricostituite sotto altri nomi:
IIII Macedonica, divenuta IIII Flavia Felix
XVI Gallica, divenuta XVI Flavia Firma

Altre legioni:
I Germanica, fusa con la VII di Galba per diventare la VII Gemina
VIII Augusta
XI Claudia
XIII Gemina
XXI Rapax
II Adiutrix
I Adiutrix
VI Victrix

----------------------------------------------------------------

II° BATTAGLIA DI BEDRIACO

Seconda battaglia di Bedriaco
La seconda battaglia di Bedriaco fu combattuta il 24 ottobre 69 (l'anno dei quattro imperatori) tra le forze di due pretendenti al trono dell'Impero romano: Vitellio e Vespasiano. La sconfitta di Vitellio permise a Vespasiano di diventare imperatore, iniziando la dinastia dei Flavi. Vitellio era divenuto imperatore sconfiggendo il suo rivale Otone nella prima battaglia di Bedriaco (14 aprile). Le legioni che si trovavano in oriente, però, acclamarono il proprio generale Tito Flavio Vespasiano imperatore. Vespasiano era stato inviato nella regione da Nerone con un forte contingente per combattere le forze giudaiche nella prima guerra giudaica, scoppiata nel 66. Venuto a conoscenza degli eventi successivi alla morte di Nerone, Vespasiano si mise d'accordo col governatore della Siria, Gaio Licino Muciano, e inviò una forza composta di vessillazioni delle legioni giudaiche e siriane in occidente, agli ordini di Muciano.
Prima che le legioni orientali raggiungessero Roma, le legioni del confine del Danubio, poste in Rezia e Mesia, acclamarono Vespasiano imperatore: la III Gallica, VIII Augusta e VII Claudia avevano infatti inizialmente sostenuto Otone, ma non erano potute intervenire prima della sua sconfitta a Bedriaco, e avevano quindi accettato Vitellio imperatore. Quando però seppero della candidatura di Vespasiano, queste legioni abbandonarono Vitellio, convincendo persino altre due legioni, la VII Galbiana e la XIII Gemina a sostenere il generale dell'esercito orientale. La XIII aveva una ulteriore buona ragione per avversare Vitellio, in quanto era stata sconfitta a Bedriaco e i suoi legionari erano stati messi a costruire degli anfiteatri per i due generali vitelliani vincitori, Fabio Valente e Aulo Cecina Alieno, come punizione. Le legioni danubiane, comandate dal legato della Galbiana Marco Antonio Primo, marciarono su Roma, anticipando le legioni di Muciano che erano ancora distanti.
Venuto a conoscenza dell'arrivo di Antonio, Vitellio gli inviò contro un esercito composto dalle legioni XXI Rapax, V Alaudae, I Italica e XXII Primigenia, più vessillazioni di altre sette legioni e truppe ausiliarie, al comando di Cecina (Valente era rimasto a Roma bloccato da una malattia).
Le prime legioni di Antonio raggiunsero Verona, ma Cecina, sebbene in superiorità numerica e richiesto di attaccarle, si rifiutò di cercare battaglia. Egli aveva deciso infatti, con l'appoggio del comandante della classis Ravennatis (la flotta di Ravenna) Lucilio Basso, di passare dalla parte di Vespasiano. Le truppe di Vitellio si rifiutarono di abbandonare il proprio imperatore e imprigionarono Cecina. Decisero quindi di muovere su Cremona senza aspettare l'arrivo da Roma di Valente, ormai guarito. Anche Antonio, che si trovava a Bedriacum, mandò a Cremona una unità di cavalleria.
Battaglia
La cavalleria di Antonio incontrò l'avanguardia di Vitellio tra Cremona e Bedriaco (24 ottobre) e, raggiunta dalle legioni, ebbe la meglio sulle forze di Vitellio, che furono costrette a ritirarsi a Cremona. Antonio decise di approfittare della situazione avanzando lungo la Via Postumia verso Cremona, ma si scontrò con il grosso delle forze vitelliane, rinforzate dalla IIII Macedonica ma ancora senza comandante (Valente non era ancora giunto da Roma).
La battaglia fu molto dura e durò tutta la notte, fino all'alba del 25. La VII Galbiana, la legione di Antonio, subì grosse perdite, giungendo a perdere per qualche tempo la propria aquila, finché un centurione non si sacrificò per recuperarla. A poco a poco le truppe di Antonio presero il sopravvento, ottenendo la vittoria proprio all'arrivo dell'alba, per un episodio singolare.
La III Gallica era stata a lungo in servizio in Siria e i suoi soldati avevano accettato numerosi il culto locale della divinità solare. Nel momento in cui sorse il sole, i soldati si voltarono verso oriente salutandolo, come era uso tra i devoti: le truppe di Vitellio, però, travisarono il gesto, ritenendo che gli uomini della Gallica stessero salutando l'arrivo dei rinforzi, e si abbatterono, venendo respinte fino al proprio campo. Antonio conquistò il campo nemico e poi attaccò direttamente Cremona: la città si arrese, ma questo non la salvò dall'incendio appiccato dai vincitori.
Conseguenze
La vittoria a Bedriaco, dove sei mesi prima era stata decretata l'ascesa al trono di Vitellio, permise a Vespasiano di divenire imperatore. Antonio, infatti, avanzò su Roma, dove prese prigioniero Vitellio, che fu qualche tempo dopo ucciso.

------------------------------------------------------------------

I° BATTAGLIA DI BEDRIACO > CREMONA

Prima battaglia di Bedriaco
Da Wikipedia, Betriacum, Cremona



Esito:
Vittoria di Vitellio

Schieramenti
Impero romano(Otone) Impero romano(Vitellio)
Comandanti
Svetonio PaolinoLicinio Proculo Fabio ValenteA. Cecina Alieno
Effettivi
50.000(Legio I Adiutrix,Legio XI) 70.000(Legio I Italica,Legio V Alaudae)


La prima battaglia di Bedriaco fu combattuta il 14 aprile 69 a Bedriaco, vicino Cremona, tra l'esercito di Otone e quello di Vitellio, due pretendenti al trono dell'Impero romano dopo la morte di Nerone e Galba.
Lasciando un forte distaccamento a tenere il campo di Bedriaco, le forze di Otone avanzarono lungo la Via Postumia in direzione di Cremona. A breve distanza da questa città, inaspettatamente, incontrarono le truppe di Vitellio. Gli uomini di Otone erano in svantaggio, combatterono disperatamente, ma alla fine furono costretti a ripiegare in disordine verso il loro campo di Bedriaco. Là, il giorno successivo, li seguì Vitellio vittorioso ma solo per cessare le ostilità con lo scoraggiato nemico, e per essere accolto nel campo come un amico.Otone si suicidò poco dopo.

-------------------------------------------------------------------

VESSILLAZIONE

La Legio XI venne inviata a Burnum (moderna Chistagne) in Dalmazia, a condividere il campo con la VII Paterna. Alcune vessillazioni furono inviate a ricoprire altri ruoli lontano dal campo madre: sono attestate in questo periodo a Salonae (Spalato) e a Gardun. La vessillazione (dal latino vexillatio, al plurale vexillationes) era un distaccamento della legione romana, utilizzato come una unità temporanea dell'esercito romano durante il Principato. A partire dal Dominato, invece, col termine di "vessillazione" si indicò una unità di cavalleria. Il termine "vexillatio" deriva dal vexillum, l'insegna recante il nome della legione madre portata dai distaccamenti.
Principato
Durante il Principato le vessillazioni venivano costituite all'occorrenza, per far fronte ad esigenze improvvise, come crisi sulle vaste frontiere dell'Impero romano o guerre civili, piuttosto che per formare gli eserciti da impiegare per le campagne offensive. L'impiego di più vessillazioni permetteva di ottenere unità in grado di adempiere a funzioni offensive e difensive senza sguarnire le frontiere spostando intere legioni: al termine dell'emergenza, ciasuna vessillazione ritornava alla propria legione di origine. Qualora le vessillazioni legionarie fossero inviate in una provincia governata da un procuratore, questi prendeva il titolo straordinario di procurator pro legato. Proprio per la loro natura occasionale le vessillazioni variavano in numero di elementi, ma tipicamente erano costituite da 1000 legionari e/o 500 cavalieri, più, probabilmente, degli auxilia.
Dominato [
Con l'avvento del Dominato, il termine "vexillatio" passò a indicare le unità di cavalleria dell'esercito romano. Già ai tempi di Gallieno (253-268), durante le campagne militari si impiegavano vessillazioni di cavalleria, che formavano il nerbo del comitatus l'esercito ad alta mobilità introdotto durante la crisi del terzo secolo.
Dalla Tetrarchia al V secolo
Con la riforma di Diocleziano, le vessillazioni divennero unità standard: le vexillationes palatinae e quelle comitatentes erano nominalmente formate da 300 o 600 uomini. La Notitia dignitatum, un documento che riporta la disposizione delle unità militari all'inizio del V secolo, elenca ben 88 vessillazioni.

-----------------------------------------------------------------

PERCHE PIA FIDELIS ?

Le legioni romane
I nomi delle legioni venivano assegnati tramite vari criteri : poteva
essere dato a seconda del luogo in cui esse avevano vinto con onore (es. V
Macedonica), oppure riflettere il nome dei loro comandanti, oppure ancora
specificavano una loro determinata specialità (es. X Equestris). Questi
nomi potevano cambiare oppure avere delle aggiunte ,a seconda della loro
storia. "GEMINA", il termine latino per"GEMELLI", era dato ad una legione
creata unendo due o più Legioni preesistenti. "AUGUSTA", significava
"VENERABILE". Ottaviano venne chiamato Augusto, quando salì al trono.
"PIA FIDELIS", cioé "LEALE" era attribuito a Legioni che erano rimaste
fedeli a Roma durante dei periodi di rivolta.
"VITRIX", cioé "VITTORIOSA",
era attribuito dopo una battaglia o campagna particolarmente dura alla
legione vittoriosa.

http://www.roccioso.it/roma/listalegioni.htm

-----------------------------------------------------------------

04/08/09

BURNUM


FIUME CHERCA NEI PRESSI DI BURNUM

Burnum è un'antica città romana in Illiria, oggi localizzata nei pressi di Chistagne in Croazia. Il sito dell'antica città di Burnum sorge sulla sponda destra del fiume Cherca (Krka in croato, l'antico Titus di età romana), all'interno del Parco Nazionale della Krka. L'area in cui sorse l'insediamento rappresenta uno dei pochi punti di agevole guado del fiume: si tratta infatti di una possente barriera naturale, che già in antico separava il territorio dei Liburni, alleati dei Romani, da quello dei Dalmati, ostili a Roma. L'occupazione romana del sito a fini militari iniziò dalla fine del I secolo a.C., concretizzandosi nella costruzione di un grande castrum destinato ad ospitare le legioni impegnate in quest'area. Secondo Plinio il vecchio, Burnum diventa così uno dei centri militari più importanti della Provincia romana di Dalmazia. Già alla fine delle campagne illiriche di Ottaviano (35-33 a.C.) qui è attestata la Legio XX Valeria Victrix. Intorno al 10 d.C. questa legione lasciò il presidio dalmata per passare in Germania e fu rimpiazzata dalla Legio XI Claudia Pia Fidelis. Nell'86 d.C. la Dalmazia viene proclamata Provincia inermis e la difesa del territorio non viene più effettuata dalle legioni ma dalle truppe ausiliarie. Il castrum, così, si trasforma in una città vera e propria, che nel corso del II secolo d.C. diventa municipium. La guerra greco-gotica, che coinvolse anche diversi centri della Dalmazia settentrionale, determinò, tra il 536 e il 537, il definitivo abbandono dell'area. Tra l'età medievale e quella moderna, una chiesa dovette occupare parte dei resti ancora visibili, dal momento che il sito archeologico è oggi noto col nome di Suplja crkva (= chiesa in rovina) o Supljaja (= rovine). Le evidenze archeologiche del castrum si riducono oggi alle due arcate in blocchi di calcare locale, attribuibili con buona certezza alla Basilica del Foro della città romana.

BASILICA DI BURNUM

Già nel 1700 i resti erano stati segnalati, in migliore stato di coservazione, nel Viaggio in Dalmazia dell'abate padovano Alberto Fortis (1774). Per il resto la conoscenza di questo sito è affidata agli scavi archeologici. Nel 1912-1913 e poi nel 1973-1974 l'Istituto Archeologico Austriaco di Vienna conduce scavi estensivi alla ricerca della forma urbana del centro antico. Dal 2003 il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Zara e il Museo Civico di Dernis hanno iniziato le ricerche nel vicino anfiteatro, la cui principale fase edilizia è riconducibile all'imperatore Vespasiano. Dal 2005 il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna, in collaborazione con l'Università di Zara e col Museo Civico di Dernis, ha iniziato una nuova fase di sperimentazione di metodologie di indagine non intrusiva e sondaggi archeologici.

-------------------------------------------------------------------

BATTAGLIA DI AZIO


Mappa della battaglia di Azio

Battaglia di Azio (2 settembre, 31 a.C.). Cruenta battaglia navale che conclude la guerra civile fra Ottaviano e Marco Antonio, anche se sarebbe più corretto parlare di guerra fra Roma e l'Egitto.
La battaglia segna in pratica il tramonto definitivo della Repubblica romana, anche se per la sua fine ufficiale si dovrà attendere il 27 a.C. quando il senato conferirà a Ottaviano il titolo di Augusto. Ad essa si era sostituito l' impero. Essa segna anche la fine dell'epoca ellenistica iniziata nel 323 a.C. (morte di Alessandro Magno), con la conseguente trasformazione dell'Egitto in provincia romana.
Il confronto di Azio è passato alla storia anche per una decisiva innovazione nello stile delle battaglie navali introdotta da Marco Vipsanio Agrippa, ammiraglio di Ottaviano, detta «rampone». In pratica si trattava di una trave munita all'estremità di un gancio di ferro che veniva lanciata sulla nave avversaria tramite una catapulta e quindi recuperato per ottenere così l'abbordaggio e permettere l'arrembaggio.
L'importanza di questa innovazione nello scontro di Azio è stata molto probabilmente sopravvalutata, ma di certo il rampone segnò un progresso notevole rispetto al "corvo" che Gaio Duilio aveva inventato nel corso della prima delle Guerre Puniche, offrendo un'alternativa all'affondamento delle navi avversarie speronandole col «rostro».
Dopo aver conquistato l'Armenia nel 34 a.C. con l'aiuto dell'esercito di Cleopatra, regina d'Egitto e sua amante, Marco Antonio celebrò il trionfo nella capitale egiziana, Alessandria.
In quella occasione il condottiero nominò Cleopatra e il figlio Cesarione (il cui padre era Cesare) reggenti di Cipro e divise la parte orientale dei domini di Roma, che gli era stata affidata con gli accordi del secondo triumvirato, fra i tre figli avuti da Cleopatra, con quella che è nota come la «donazione di Alessandria» (per i particolari si veda la voce Cleopatra in Wikipedia).
Poiché il senato non vide di buon occhio il trionfo celebrato ad Alessandria e tantomeno la spartizione ai figli di terre che appartenevano a Roma e non ad Antonio, Ottaviano decise di forzare la mano ai senatori e, dopo aver corrotto alcuni funzionari, si impossessò del testamento del rivale e lo lesse pubblicamente all'assemblea scatenandone la prevista reazione.
Il senato e il popolo di Roma proclamarono Marco Antonio «nemico della patria» e, decisi ad evitare che si parlasse di guerra civile, dichiararono guerra a Cleopatra e all'Egitto. Alla fine di settembre del 32 a.C. Antonio e Cleopatra trasferirono il loro quartier generale a Patrasso, minacciando direttamente la penisola italiana. La scelta era ottima perché il golfo su cui sorge la città era protetto, in direzione dell'Italia, dalle isole di Leuca e Cefalonia.
Poiché la minaccia di Antonio era reale Ottaviano iniziò ad organizzare il proprio esercito a Taranto e Brindisi, ma fu rallentato dalla ribellione di Sesto Pompeo, figlio di quel Pompeo nemico di Cesare, che si era impadronito della Sicilia e minacciava i rifornimenti di grano diretti alla capitale. Antonio approfittò del vantaggio per consolidare la sua posizione e occupò tutti i punti strategici importanti. La catena iniziava a sud da Cirene nel Nordafrica, da cui partivano i rifornimenti di grano e viveri, passava per Metone sulla punta sud del Peloponneso, che controllava le rotte del rifornimento, arrivava a Patrasso, il quartier generale, e proseguiva a nord verso Azio, davanti al golfo d'Ambracia e con l'isola di Leuca a vista d'occhio, per finire poi sull'isola di Corfù.
Questa disposizione strategica mostra chiaramente che l'intenzione di Antonio era quella di attendere il nemico su posizione di forza invece di muovere direttamente all'attacco. Ottaviano, da parte sua, non era un gran condottiero ma, da ottimo politico, sapeva circondarsi di eccellenti collaboratori fra i quali spiccava per abilità l'ammiraglio Marco Vipsanio Agrippa, che come stratega non aveva niente da invidiare ai migliori condottieri romani.
Mentre Antonio trascorreva l'inverno a Patrasso fra le braccia di Cleopatra, Agrippa preparava le contromisure. I primi giorni di marzo del 31 a.C. l'ammiraglio romano mosse la flotta da Brindisi e attraversò il mar Ionio non in direzione del nemico, che lo attendeva davanti a Leuca, ma verso sud per conquistare la guarnigione di Metone. Colti di sorpresa i militari di Antonio si arresero immediatamente e tutto il quadro strategico ne fu sconvolto. Persa Metone i rifornimenti a Patrasso non poterono più giungere via nave ma solo per via terra, molto più lunga e dispendiosa. Gli esperti di strategia militare contemporanea sono abbastanza d'accordo nell'affermare che a questo punto la guerra poteva considerarsi già decisa a favore di Ottaviano.
Da Metone Agrippa iniziò ad attaccare una dopo l'altra le postazioni di Antonio, che non era in grado di difenderle tutte contemporaneamente: dall'Italia le truppe di Ottaviano sbarcarono in Epiro e attaccarono Corfù, mentre da Metone Agrippa minacciava direttamente Patrasso costringendo Antonio e Cleopatra a spostare il loro quartier generale ad Azio. Infine Agrippa conquistò anche l'isola di Leuca e si ricongiunse con l'esercito proprio sul lembo di penisola opposto ad Azio. Ottaviano era in posizione di forza e poteva attendere, Antonio e Cleopatra erano costretti a combattere e vincere.
Nonostante le pressioni dei propri generali e la sua superiorità in campo terrestre, Antonio si fece convincere da Cleopatra a combattere una battaglia navale perché l'ambiziosa regina, che non aveva fornito soldati ma navi, voleva essere partecipe della vittoria. La flotta di Antonio era inferiore per numero e per buona parte formata da navi grosse e lente, mentre quelle di Ottaviano erano molto più manovrabili. A maggio inoltre scoppiò un'epidemia di malaria che uccise molti soldati nelle file di Antonio e il mancato arrivo dei rifornimenti causò parecchi tradimenti. Per evitare che gli equipaggi ammutinati consegnassero le navi al rivale Antonio ne fece bruciare cinquanta, riducendo la sua flotta a 170 unità. Alla fine di agosto Antonio fece preparare le navi con le vele spiegate, quindi più pesanti e più facilmente incendiabili dal nemico. Forse preparava la fuga, che venne ritardata da una tempesta. La mattina del 2 settembre il mare è liscio ed Antonio fa uscire la flotta dal golfo di Ambracia. Inizia la battaglia vera e propria.
La battaglia
Lo schieramento delle imbarcazioni per la battaglia navale prevedeva all'epoca che le flotte si posizionassero una di fronte all'altra a formare due semicerchi concentrici, divise in tre gruppi. A differenza degli scontri terrestri però il gruppo centrale degli schieramenti era più debole, per consentire alle navi strette in mezzo alle ali di manovrare meglio senza disturbarsi reciprocamente.
Il lato nord dello schieramento di Ottaviano era comandato da Vipsanio Agrippa, che aveva di fronte Gellio Publicola, al centro Lucio Arrunzio fronteggiava Ottaviano mentre a sud Lurio fronteggiava Gaio Sosio. La nave di Antonio si trovava con Publicola, quella di Ottaviano con Lurio mentre la «Antonias», la nave ammiraglia di Cleopatra con la regina a bordo, si trovava alle spalle di Ottavio insieme ad altre 26 navi egizie, forse nel tentativo di riprodurre in mare lo stratagemma adottato da Cesare nella battaglia di Farsalo.
Le due flotte si fronteggiano, vicine ed immobili, fino a mezzogiorno quando all'improvviso Sosio muove le sue navi verso sud in direzione dell'isola di Leuca e si scontra con Lurio dando inizio alla battaglia. I motivi del movimento improvviso di Sosio sono sconosciuti: qualcuno sostiene che era concordato, altri invece ritengono che volesse abbandonare Antonio al proprio destino. Comunque sia l'azione di Sosio incanala la battaglia secondo i piani di Agrippa: attendere l'avversario e arretrare lentamente in mare aperto per sfruttare gli spazi con le proprie navi, molto più agili da manovrare.
Lurio inizia piano piano a retrocedere e lo stesso fa Agrippa dal lato opposto, mentre Arrunzio resta fermo al centro davanti ad Ottaviano. Poiché il nemico non accenna ad aprirsi Agrippa decide di prendere un rischio e fa muovere bruscamente le navi verso il largo; Publicola cade nel trabocchetto e lo segue, allontanando le sue navi sia l'una dall'altra che dal centro dello schieramento. Ottaviano, per tenere unita la formazione, è costretto a spostarsi a nord e viene chiuso da Arrunzio. Questo spostamento crea un varco in mezzo che potrebbe essere sfruttato dalle navi di Cleopatra, ma la regina decide inspiegabilmente di utilizzarlo per fuggire. Antonio vede la sua amante in fuga e non si preoccupa più della battaglia ma solo di inseguirla, lasciando flotta ed uomini al loro destino.
Inizialmente gli uomini di Antonio non si accorgono di essere stati abbandonati dal proprio comandante e si battono valorosamente (Velleio Patercolo scriverà: «i soldati si comportarono come il migliore dei comandanti e il comandante come il più vile dei soldati»; Patercolo, II.85.5), ma la battaglia è da considerarsi perduta. Una flotta composta da navi troppo lente e meno agili, con troppa distanza fra una nave e l'altra, non può sopportare anche l'inferiorità numerica che con la fuga delle navi egizie è diventata notevole. Le navi romane hanno gioco facile nello sfuggire ai tentativi di speronamento col rostro, poi iniziano ad attaccare le imbarcazioni avversarie una ad una e, trasferendo sulle navi avversarie i soldati mediante il rampone, vi combattono corpo a corpo ed infine ne incendiano le vele, affondandole.
Verso sera gli uomini di Ottaviano hanno già affondato 40 navi avversarie e ucciso 5000 soldati mentre le cento navi superstiti fuggono alla rinfusa verso il golfo di Ambracia. Per Ottaviano è un gioco da ragazzi chiudere il golfo con la propria flotta ed attendere la resa, che avverrà il giorno dopo.
La resa della flotta di Antonio e Cleopatra fu favorita dalla voce circolata fra i soldati che Ottaviano prometteva «salva la vita e terre in Italia» a chi avesse consegnato le armi. In effetti i vinti furono graziati e vennero fatti sbarcare in Italia dove in realtà vennero abbandonati a sé stessi e infine si rivoltarono. Ottaviano inviò il fedele Agrippa a stroncare la rivolta e rimase ad Azio ad organizzare l'inseguimento di Antonio, ma dall'Italia gli riferirono che per sedare i tumulti erano necessari i rinforzi e la sua presenza. Sbarcato a Brindisi si aspettava di dover ancora combattere mentre venne invece accolto da una delegazione di senatori che lo informarono della vittoria contro i rivoltosi e della nomina a console per il quarto anno consecutivo. Poté quindi partire a caccia del rivale.
La vicenda di Antonio e Cleopatra ebbe invece risvolti grotteschi quando Antonio raggiunse la regina in mare aperto e venne da questa ignorato (Plutarco, Antonio, 67). Nella sostanza si può dire che il condottiero romano non recuperò più dalla delusione e dall'umiliazione subite. Nell'agosto del 30 a.C. Ottaviano invase l'Egitto e Antonio gli si fece incontro alle porte di Alessandria ma il suo esercito, messo in piedi in fretta e furia, fuggì all'apparire dei romani. Questa ultima umiliazione spinse Marco Antonio al suicidio.
Quando Ottaviano entrò vincitore ad Alessandria, senza praticamente combattere, la regina Cleopatra tentò di sedurlo, come già aveva fatto con Cesare prima e con Antonio poi. Ottaviano non cedette perché Cleopatra aveva perso con l'età buona parte del suo fascino. La regina capì chiaramente il suo destino: sfilare per le strade di Roma come un trofeo di guerra. Allora si uccise, secondo la leggenda facendosi mordere da un aspide al seno.
Queste vicende, oltre a suscitare emozione profondissima nella cittadinanza romana, ispirarono opere poetiche, come la famosa ode I, 37 di Quinto Orazio Flacco e il Carmen de bello actiaco di Cornelio Severo.
Fonti primarie [modifica]
• Augusto, Res Gestae Divi Augusti = CIL III, p 0774.
• Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, libro L.
• Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, IX.
• Livio, Ab Urbe condita libri, I.
• Svetonio, Vita dei Cesari, II.
• Velleio Patercolo, Storia di Roma, libro II.


---------------------------------------------------------------

GUERRA DI PERUGIA

Da Wikipedia,
La guerra di Perugia, anche nota come Bellum Perusinum, (41-40 a.C.) è un episodio della guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio ed ebbe per protagonisti Ottaviano e i parenti di Marco Antonio, la moglie Fulvia e il fratello Lucio Antonio.
Dopo la disfatta dei cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino a Filippi per opera di Antonio e Ottaviano, quest'ultimo aveva avuto l'ingrato compito di trovare i fondi necessari per sistemare con un appezzamento di terra circa 170.000[1] veterani, dei quali ben 100.000 avevano combattuto nella battaglia di Filippi. Le confische territoriali fatte in Italia nel 41 a.C., attuate principalmente in Etruria, crearono ulteriori inimicizie a Ottaviano, e proprio su questo crescente malcontento fecero leva Fulvia e Lucio Antonio. Agendo però troppo di fretta, i due fornirono a Ottaviano i pretesti per muoversi nella piena legalità.
Lucio Antonio ammassò infatti truppe a Preneste e poi si recò a Roma, dove promise che il fratello (che ora si trovava in oriente) avrebbe restaurato la Repubblica. Il Senato conferì allora a Lucio l'imperium per muovere in armi contro Ottaviano, che non fu però abbandonato dalle sue truppe.
Lucio Antonio, console per il 41 a.C., era riuscito a coagulare attorno a sé l'opposizione senatoriale contro Ottaviano, mentre il fratello era impegnato in Oriente, come deciso nella spartizione delle sfere di influenza romane tra i triumviri. Malgrado il sostegno ottenuto, persino da alcuni amici della famiglia di Ottaviano, non fu possibile rendere illegale il Secondo triumvirato, in quanto i veterani e gli eserciti erano fedeli ai
triumviri, cui dovevano pagare terre.
L'assedio
Lucio Antonio, sostenuto anche da Fulvia, fu quindi costretto a ritirarsi con i suoi seguaci a Perugia, dove venne raggiunto da Ottaviano. Alla fine, Lucio Antonio e Fulvia furono assediati nella città di Perugia e, lasciati soli dal loro parente, si arresero nell'inverno 41-40 a.C., dopo una lunga resistenza, per mancanza di cibo. Dopo la fine della guerra, Ottaviano punì con durezza la città etrusca, sterminando la sua aristocrazia. Infatti, sebbene Ottaviano salvasse la vita a Lucio Antonio , non mostrò la stessa pietà per
Perugia, che venne saccheggiata e bruciata, né per i suoi cittadini di rango senatoriale, che vennero uccisi in 300 alle Idi di marzo, nell'anniversario della morte di Gaio Giulio Cesare.
Fulvia fu esiliata a Sicione (Oriente, in Grecia), dove morì di malattia, mentre Lucio ebbe da Ottaviano il governatorato della Spagna, Ottaviano volle così evitare un inasprimento dei rapporti già tesi con il rivale Antonio. Giunto in Italia nel 40, Marco Antonio accettò le giustificazioni addotte da Ottaviano sul perché aveva agito in questo modo, e così i triumviri giunsero a un nuovo accordo: a Ottaviano sarebbe andato il controllo dell'occidente e ad Antonio quello dell'oriente, mentre a Lepido andò l'Africa. Ottaviano a Antonio strinsero anche un'alleanza matrimoniale: Antonio, che era rimasto vedovo, sposò Ottavia Minore, sorella di Ottaviano।

नोट:
1. ^ Cantarella e Guidorizzi (2002), pag. 386
Bibliografia [modifica]
· Appiano, Libro V 32-49 in Bellum Civile,
· Cantarella Eva; Giulio Guidorizzi, Storia antica e medievale, Milano, Einaudi, 2002.
· Eck, Werner, The Age of Augustus, Blackwell Publishing, 2003, ISBN 0631229582, pp. 19-20.
· Nicolas Geoffrey Lemprière Hammond; Howard Hayes Scullard, Dizionario di antichità classiche di Oxford , Roma, Edizioni Paoline, 1981 . ISBN 8821503747
· Ward-Perkins, Bryan, The Fall Of Rome: And the End of Civilization, Oxford University Press,

--------------------------------------------------------------------

01/08/09

BATTAGLIA DI FILIPPI





Dopo l'assassinio di Cesare, Bruto e Cassio -coloro i quali avevano organizzato la congiura- avevano lasciato il suolo italico e avevano preso controllo delle province orientali, a partire dalla Grecia e dalla Macedonia fino alla Siria. A Roma i protagonisti della scena politica (Antonio, Ottaviano e Lepido) avevano incontrato in un primo momento l'ostilità del senato nei confronti del loro strapotere. Infine, pero', un accordo fu raggiunto sia fra i tre uomini, che diedero vita al secondo triumvirato, sia fra triumviri e senato stesso. Così, Marco Antonio, Lepido ed Ottaviano -postisi a capo delle legioni fedeli a Roma- poterono volgere il proprio sguardo ad est, dove li aspettava lo scontro con i cesaricidi. Il loro obiettivo non era solo quello di vendicare la morte del dittatore, ma anche di reimpossessarsi delle province orientali.
Si decise di lasciare Lepido in Italia, mentre Ottaviano ed Antonio partirono alla volta della Grecia settentrionale. Traghettate senza problemi le proprie forze (28 legioni) dalla Puglia all'Epiro, i due triumviri mandarono in avanscoperta 8 legioni (guidate da Norbano e da Decidio) lungo la via Egnatia, con il compito di scoprire dove si trovasse l'esercito di Bruto e Cassio. Superata la città di Filippi, Norbano e Decidio decisero di aspettare il nemico e collocarono le proprie forze presso uno stretto passo montano di grande importanza strategica. Antonio li seguiva col grosso dell'esercito, mentre Ottaviano era stato costretto a rimanere a Durazzo a causa delle sue precarie condizioni di salute che lo avrebbero accompagnato per l'intera campagna. La situazione per i triumviri, inizialmente favorevole, peggiorava via via a favore dei nemici, in quanto le comunicazioni con l'Italia andavano sempre più riducendosi a causa della potente flotta, guidata da Gneo Domizio Enobarbo (trisavolo di Nerone e alleato di Bruto e Cassio), che bloccava i rifornimenti dalla penisola.
I Cesaricidi non avevano intenzione di attaccare battaglia. Piuttosto, avevano pianificato di attestarsi su una buona posizione difensiva e sfruttare poi il proprio vantaggio sui mari per tagliare le linee di rifornimento dell'esercito avversario. Essi avevano speso i mesi precedenti a fomentare i cuori dei Greci contro i nemici e avevano a propria disposizione tutte le legioni dislocate nella parte orientale della Repubblica più le leve reclutate in loco. Con le proprie forze numericamente superiori, Bruto e Cassio fecero sloggiare dal passo Norbano e Decidio, che dovettero abbandonare la propria posizione e ripiegare ad ovest di Filippi. Per tanto, Bruto e Cassio avevano un'ottima posizione difensiva, essendosi posti lungo la via Egnatia, a circa 3.5 km ad ovest di Filippi, sui due terreni rialzati che la fiancheggiano. A sud erano difesi da un vasto terreno paludoso, presumibilmente impossibile da attraversare; a nord da alcuni impervi colli. Ebbero tutto il tempo per fortificare i propri castra con bastioni e fossati. Bruto pose il proprio accampamento a nord della via, Cassio a sud. Antonio e Ottaviano arrivarono qualche tempo dopo. Ottaviano collocò il suo campo a nord, in corrispondenza di quello di Bruto, Antonio a sud, in corrispondenza di quello di Cassio.


MARCIA DELLE LEGIONI



Forze in campo
I due triumviri disponevano di diciannove legioni (le altre nove erano state lasciate indietro). Le fonti riportano il nome di una sola di esse (la III legione), ma si può risalire facilmente ad alcune delle altre presenti nello scontro: la VI, la VII, la VIII, la X Equestris, la XII, la XXVI, la XXVIII, la XXIX e la XXX, più, ovviamente, la III. Appiano ci dice che quasi tutte queste legioni avevano il giusto effettivo di uomini. L'esercito di Ottaviano e Antonio poteva contare su una cospicua cavalleria, composta da circa 13.000 cavalieri per Ottaviano e 20.000 per Antonio.
L'armata dei Cesaricidi contava diciassette legioni (otto con Bruto, nove con Cassio; le altre due si trovavano con la flotta). Di queste legioni, solo due erano complete; le altre erano per lo più decimate. Tuttavia, le truppe erano rinforzate da alcune leve dei regni orientali alleati. Appiano riporta un totale di uomini, per Bruto e Cassio, di circa 80.000 fanti romani e di 17.000 cavalieri alleati, di cui 5.000 erano arcieri a cavallo. L'esercito dei Cesaricidi contava anche alcune legioni lasciate in Oriente da parte di Cesare e che erano state fedeli al dittatore (si trattava, si crede, della XXVII, della XXXVI, della XXXVII, della XXXI e della XXXIII legione). Erano, quindi, dei corpi costituiti da veterani. Ma era proprio questo ciò che preoccupava Bruto e Cassio: benché la XXXVI legione avesse militato con Pompeo e fosse stata inglobata fra quelle di Cesare solo dopo la battaglia di Farsalo, le altre erano sicuramente fedeli al vecchio condottiero e, quindi, non ce ne si poteva fidare del tutto. Si ricordi che Ottaviano era stato nominato da Cesare suo erede e che, addirittura, il nome con cui lo chiamarono i suoi contemporanei non fu, appunto, Ottaviano, ma Gaio Giulio Cesare. Cassio tentò di rafforzare la lealtà dei suoi uomini con alcuni infiammati discorsi ("Non dobbiamo permettere che qualcuno dica che egli stesso fu soldato di Cesare; perché noi non siamo stati soldati suoi, ma della nostra nazione"). In più tentò di portare le simpatie dei suoi uomini dalla propria parte versando ad ogni legionario una cifra di circa 1500 denari, di 7000 per ogni centurione.
Benché nessuna delle nostre fonti antiche riporti l'effettivo numero dei due eserciti, gli storici moderni ritengono che essi fossero quasi pari numericamente (con una leggera preponderanza, di qualche migliaio di uomini, delle forze dei triumviri ): dunque, dovevano esservi 100.000 uomini circa per parte.
-------------------------------------------------------------------

OTTAVIANO RICOSTITUISCE LA LEGIO XI

FONTE WIKIPEDIA
Il figlio adottivo di Cesare, quell'Ottaviano che sarebbe poi diventato Augusto, decise di ricostituire molte delle legioni del padre assassinato, anche con l'intenzione di sottolinearne l'eredità: l'XI fu una di queste legioni. Ricostituita nel 42 a.C., l'XI combatté alla battaglia di Filippi, in cui gli assassini di Cesare, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, furono definitivamente sconfitti. Successivamente fu inviata in Italia, dove sedò una rivolta a Perugia, e fu probabilmente coinvolta nella sconfitta di Sesto Pompeo, che controllava la Sicilia, ad opera di Marco Vipsanio Agrippa, per conto di Ottaviano.

AD OGGI PERSONALMENTE NON SONO RIUSCITO A TROVARE FONTI DELLA PARTECIPAZIONE ALLA BATTAGLIA DI FILIPPI, ANCHE SE IN TUTTE LE PAGINE NEL WEB E' SEMPRE MENZIONATA LA SUA PRESENZA.

---------------------------------------------------------------

BOVIANUM UNDECIMANORUMU : L'EPIGRAFE DI VESIULLAEO





L'EPIGRAFE DI VESIULLAEO



N(Ú)V(IS) . VESULLIAÍS . TR(EBIEÍS) . M(EDDÍS) . T(ÚVTÍKS) .EKÍK . SAKARAKLÚM . BUVAIANÚD . AÍKDAFED



Nel 1840 il dottor Francesco Saverio Cremonese, noto appassionato di "Res Antiqua" nativo di Agnone, dietro segnalazione di don Paolo Pesa ed in mezzo ad altre pietre destinate ad uso costruttivo, ritrovò a Pietrabbondante una lapide incisa in osco che, riferirono, proveniva dalla località Calcatello, raccolta proprio vicino al teatro sannitico.La lapide fu subito segnalata dallo scopritore agli archeologi della Regia Intendenza agli Scavi del Regno Borbonico, i signori Avellino, Guarino e Iannelli.Nella prima lettura effettuata dell'epigrafe, molto stupore suscitò la parola BOVAIANUD

in un contesto alquanto distante dalla Bovianum conosciuta, l'attuale Bojano. L'Avellino riconobbe in quell'epigrafe un preciso collegamento tra Bovaianud e Pietrabbondante, in aperto dissenso con gli altri due studiosi.Pochi anni dopo il Mommsen, in una delle sue frequenti visite nel Sannio, ebbe modo di visionare l'epigrafe e nel Bollettino Archeologico Napolitano del 1846 scrisse:"Nel giro che nel maggio dell'anno corrente feci per l'antico Sannio, ho avuto l'agio di osservare ocularmente le due iscrizioni osche murate nella chiesa di Pietrabbondante, paese piccolo sulla vetta di un'erta montagna, presso Agnone, ma notevole assai per quantità stragrande di anticaglie che alla giornata vi si trovano e per i suoi bei ruderi di un teatro, dal quale speriamo veder uscire per le cure del sig. Cremonese nuovi monumenti che forse determineranno il nome antico di questo paese ancora sconosciuto. Certo è che in nessun luogo, eccettuato Pompei, sono venute fuori tante iscrizioni osche, quante ne abbiamo da Pietrabbondante. Se ne conoscono ora fin a quattro ed altre ci sono state promesse: e sebbene questo fatto debba attribuirsi in parte alla savia attività del sig. Cremonese, non è dubbio però che Pietrabbondante non fosse uno dei centri primari dei Sanniti.Chi sa se ivi non fosse il Bovianum Vetus di cui parla Plinio?"Infatti Plinio il Vecchio, nella sua "Naturalis Historia", (III, 17) parla di due Bovianum: "...Samnitium quos Sabellos Graeci dixere, colonia Bovianum Vetus et alterum cognomine Undecumanorum, Aufidaenates, Aesernini, Facifulani, Saepinates, Terventinates...".


... Io per me sono portato a crederlo, essendo che la bella iscrizione di Vesiullaeo ivi trovata e pubblicata nella Tavola V dell'anno III di questo Bullettino, finisce colle parole "Buvaianud aikdafed". Inoltre Plinio, nel luogo citato, attesta la coesistenza di due città dette Bovianum l'una e l'altra: Colonia Bovianum Vetus et alterum cognomine Undecimanorum.Assai bene viene spiegata questa notizia dalla seguente lapide che copiai a Boiano:


...RI VESPASIA...I...MAX. TRIB. POTES......VII IMP. XIIII. P. P. C. ...XTESTAN...... C. MARCELLI. D. LEG. XI CL...... VE. F. CIVITATIS. MAEZE......PATIUM. PRAEF. CHOR. III AL. I......IANORUM. II VIR. I. D. QUINQU......ONI. COLONIAE.



La quale, oltre ad altre pregevolissime notizie, ci fa toccare colle mani che il Boiano attuale è Bovianum Undecimanorum e che la Legione XI Claudia Pia Fidelis vi fu dedotta da Vespasiano. E corrobora ciò la seguente iscrizione boianese che trascriverò pure, essendo essa stampata dal solo Galanti nella Descrizione del Molise nè senza errore:


IO CAESARE IM...... DICTAT. ITERU...... NFICI (sic) MAX...OS PATRONO.MUC.D.C.

Sta bene che sotto Giulio Cesare, Boiano fu Municipio ancora, se vi dedusse la colonia Vespasiano. Se dunque Frontino dice De Colon. pag. 136: "Bovianum oppidum lege Julia, milites deduxerunt sine colonis", non è forse chiaro che parla del Bovianum Vetus, detto pure colonia da Plinio, ciò che pur si conferma dalla descrizione del duumviro quinquennale Q. Agrio (Bullettino Napolitano anno IV pag. 71)?


Finora hanno spiegato il passo di Plinio, dove parla delle due città dette Bovianum, così che Bovianum Vetus vogliono sia Civita di Boiano, piccolo paese a pochissima distanza da Boiano, e proprio sulla cima del monte a piè di cui resta la detta città, e Bovianum Undecimanorum il Boiano odierno. Ma nella Civita non si vede nessun avanzo antico, e le mura che ivi vengono mostrate come ciclopiche, certamente appartengono ai mezzi tempi (Medioevo n.d.r.), mentre tutte le iscrizioni, e fra esse alcune antichissime, che per la paleografia appartengono ai tempi della Repubblica, si sono trovate in Boiano stesso, ed ivi pure si vedono ragguardevoli avanzi di mura costruite da grossi macigni, così che è quasi certo essere la Civita niente altro che un paese baronale, stabilito nei mezzi tempi sul monte di Boiano in conseguenza del castello ivi fabbricato, che ne occupa il sito più eminente.
Era assai naturale di chiamare il paese aggiunto al castello di Boiano la Civita di Boiano che pei nome solo alcuno lo crederà antico. Ma sia pure antico, ed anzi antichissimo, quel villaggio, non perciò sarà il Bovianum Vetus del geografo antico, perchè questi non parla di due siti diversi della medesima città in epoche differenti, ma di due colonie di questo nome esistenti ambedue al tempo suo, e se è improbabile situare due città alla distanza di pochi passi, è quasi impossibile di farlo per due colonie omonime. Ho voluto premettere queste poche osservazioni topografiche sopra luoghi visitati da pochi archeologi perchè la loro importanza forse non si contiene nei limiti della topografia, ma scruoponci esse anzi, se mal non mi appago, un brano antico della storia dei Sanniti... ".



http://xoomer.virgilio.it/davmonac/sanniti/vesiul.html



------------------------------------------------------------