31/07/09

BATTAGLIA DI FARSALO




Schema della battaglia
Cesare ebbe un altro vantaggio, che si rivelerà decisivo per le sorti della battaglia. Il comandante della cavalleria di Pompeo era infatti Tito Labieno, che aveva combattuto con lui in Gallia prima di passare al nemico. Labieno era abituato ad applicare una tattica che consisteva nell'attaccare sul lato debole dell'avversario, per poi convergere verso il centro contro il grosso dell'esercito nemico.
Lo schema tipico delle battaglie consisteva nello schierare gli eserciti con il grosso delle truppe in mezzo e due ali, spesso di cavalleria, che si confrontavano fra loro. Il confronto tra le ali costituiva il cuore della battaglia perché la parte vincente poteva poi aggredire il centro dello schieramento nemico con notevoli possibilità di successo.
Cesare quindi staccò dal lato destro sei coorti di soldati, i più esperti, e li posizionò come riserva, rompendo lo schema classico. Separando le coorti dall'ala, oltre ad avere una unità mobile pronta ad accorrere nel momento del bisogno, il generale mostrò contemporaneamente un finto lato debole, prevedendo che la cavalleria pompeiana vi si sarebbe gettata a capofitto.
Le forze schierate da Cesare erano così disposte: la legione X all'ala destra sotto il comando di Publio Cornelio Silla, le legioni VIII e VIIII (queste ultime due con numero di effettivi dimezzati) all'ala sinistra sotto il comando di Marco Antonio; al centro le restanti cinque legioni, tra cui la legio XI e la legio XII[31][42] (agli ordini di Gneo Domizio Calvino) per un totale di ottanta coorti; oltre a due/sette coorti a guardia del campo,[33] per un totale di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri.[34]
E tutto andò secondo il disegno di Cesare: Pompeo schierò la sua fanteria pesante in formazione allargata per impressionare il nemico, e, non appena iniziò la battaglia, Labieno mosse la sua cavalleria all'attacco del lato destro, mentre Pompeo impegnò al centro il grosso della fanteria di Cesare guidato da Marco Antonio. Quando la cavalleria di Labieno venne a contatto con l'ala destra dell'esercito di Cesare, questi fece muovere la riserva e stringere i cavalieri avversari in una tenaglia: l'unica possibilità di salvezza per Labieno e i suoi fu la ritirata. Sentendosi sicuro sul lato più debole, Marco Antonio fece avanzare all'attacco i propri fanti, mentre il grosso dell'esercito di Pompeo, vedendo sconfitti e in ritirata i cavalieri su cui erano riposte le speranze di vittoria, cedette terreno demoralizzato.
Con la ritirata di Labieno e la perdita di due fronti su tre, Pompeo considerò perduta la battaglia e si ritirò insieme a tutto lo stato maggiore. In questo modo salvò la sua vita e quella di tutti i suoi ufficiali (tranne Lucio Domizio Enobarbo), ma perse quella di 15 mila soldati, mentre le perdite di Cesare ammontarono in tutto ad appena duecento uomini.


Cesare - De Bello Civili - Liber III - 34

[34] Caesar Antonii exercitu coniuncto deducta Orico legione, quam tuendae orae maritimae causa posuerat, temptandas sibi provincias longiusque procedendum existimabat et, cum ad eum ex Thessalia Aetoliaque legati venissent, qui praesidio misso pollicerentur earum gentium civitates imperata facturas, L. Cassium Longinum cum legione tironum, quae appellabatur XXVII, atque equitibus CC in Thessaliam, C. Calvisium Sabinum cum cohortibus V paucisque equitibus in Aetoliam misit; maxime eos, quod erant propinquae regiones, de re frumentaria ut providerent, hortatus est. Cn. Domitium Calvinum cum legionibus duabus, XI et XII, et equitibus D in Macedoniam proficisci iussit; cuius provinciae ab ea parte, quae libera appellabatur, Menedemus, princeps earum regionum, missus legatus omnium suorum excellens studium profitebatur.


[34] Cesare, unitosi all'esercito di Antonio, dopo avere ritirato da Orico la legione che qui aveva posto per difendere la costa, giudicava di dovere mettere alla prova le province e avanzare oltre; ed essendo a lui giunti dalla Tessaglia e dall'Etolia ambasciatori a promettere che, se fosse stato mandato un presidio, le cittadinanze di quei popoli avrebbero eseguito gli ordini, mandò in Tessaglia L. Cassio Longino con la legione di reclute chiamata la ventisettesima e con duecento cavalieri e in Etolia C. Calvisio Sabino con cinque coorti e pochi cavalieri; li esortò, in modo particolare, a provvedere all'approvvigionamento, poiché quelle regioni erano vicine. Ordinò a Cn. Domizio Calvino di partire per la Macedonia con due legioni, la undicesima e la dodicesima, e con cinquecento cavalieri; Menedemo, mandato come ambasciatore dalla zona di quella provincia, che era chiamata libera, e che di quelle regioni era il capo, assicurava uno straordinario favore di tutti i suoi verso Cesare.

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